- GIACOMO SCOTTI - RIJEKA (FIUME)
I l governo della Macedonia ha mobilitato ieri l'esercito per fermare l'afflusso di profughi del Kosovo. La decisione di schierare i militari alle frontiere è stata presa dal Consiglio di sicurezza macedone, al termine di una riunione durata tutta la notte. "La situazione della sicurezza nel Paese potrebbe essere gravemente compromessa dall'enorme ondata di profughi del Kosovo, che sono già più di 50 mila", afferma un comunicato del Consiglio, e aggiunge che almeno altri 50 mila sono ammassati al confine e premono per entrare. Ma Skopje non intende accoglierli. La mobilitazione delle forze armate (12 mila effettivi), è al momento parziale, ha precisato il generale Trajce Krstevski, capo di stato maggiore.
Insieme al Montenegro e all'Albania, la Macedonia ex jugoslava attraversa ore drammatiche per la marea montante e inarrestabile di profughi albanesi che dal Kosovo si riversano nel suo territorio, e per il pericolo incombente che le forze di terra della Nato si servano a breve scadenza del territorio macedone per invadere la Serbia (ossia il Kosovo). Paese con il quale Skopje ha sempre cercato di vivere in pace, anche per le tradizioni religioso-culturali slavo-ortodosse che accomunano i due popoli e per i lunghi decenni durante i quali hanno fatto parte di un unico Stato. Il fatto è che la Macedonia ha un suo "Kosovo" interno, costituito dalla non facile convivenza con gli albanesi delle regioni di Tetovo e Gostivar che formano il 35% della popolazione dell'intero paese. L'arrivo di una consistente massa di albanesi dal Kosovo in Macedonia, con l'aspettativa dell'indipendenza e la prospettiva di una chissà quanto lunga permanenza, innesca una miccia politico-demografica: i macedoni diventerebbero appena la metà della popolazione, se non addirittura minoranza nel proprio stato - che ha meno di due milioni di abitanti in tutto. Ora.
Di queste preoccupazioni si è
fatto portavoce il presidente macedone Kiro Gligorov, in un'intervista
esclusiva rilasciata al quotidiano Novi List di Fiume e a chi scrive, intervista
improvvisamente interrotta dopo mezz'ora per una "chiamata urgente" che
ha fatto allontanare il capo di stato. Col consenso dei colleghi del giornale
fiumano, riportiamo i brani salienti del colloquio, avvenuto nel momento
in cui al valico di confine di Blace la moltitudine dei profughi in attesa
di riversarsi in Macedonia contava
più di 50.000 persone.
"A causa della pericolosa situazione provocata dagli attacchi aerei della
Nato sulla Serbia e sul Kosovo - ha detto Gligorov -, in Macedonia si sono
finora riversati più di 60 mila profughi, troppi per le nostre possibilità
di sistemarli e fornirgli assistenza igienico-sanitaria e sociale. Siamo
un piccolo paese". "L'occidente, in primo luogo gli Usa e l'Unione europea,
devono aiutarci" perché sono stati loro, i paesi della Nato, ha
fatto capire Gligorov, a provocare questo cataclisma. "Da soli non ce la
facciamo, così come non ce la fanno l'Albania e il Montenegro, paesi
ancor più poveri di noi". E per essere
ancora più chiaro, alla
domanda sulle responsabilità della crisi ha risposto: "Chi è
corresponsabile di questa tragedia non può scaricarla sui più
poveri, anche perché la Macedonia, se i bombardamenti della Nato
continueranno, potrebbe presto trovarsi di fronte a 100 mila profughi.
Noi non intendiamo chiudere i confini, ma i paesi occidentali devono aiutare
un piccolo paese che non è in grado di farcela da solo". E più
avanti: "Il problema dei profughi non è soltanto umanitario, è
un grande problema che
avrà pesanti conseguenze".
Politiche, ha inteso dire.
Dato che la marea dei profughi ha colpito la Macedonia dopo gli attacchi della Nato sulla Jugoslavia, seguiti dalle rappresaglie dell'Esercito jugoslavo, quale è il vostro atteggiamento verso l'azione militare Nato? L'appoggiate o no?
Come uomo non posso che condannare i bombardamenti: molte famiglie sono state gettate nel lutto, molta gente è stata costretta ad abbandonare le case. D'altra parte, il problema del Kosovo ha una lunga storia. Il regime di Belgrado abolì nel 1989 l'autonomia del Kosovo e il ciclo delle recenti trattative condotte dai mediatori occidentali è stato interrotto. Non credo però che con l'intervento della Nato i Balcani cesseranno di essere la classica polveriera. Anzi ... ritengo che le trattative e la tolleranza sono l'unico modo per risolvere la questione, la situazione attuale.
Per gli esperti militari è questione di giorni: ci sarà l'invasione delle truppe di terra della Nato. E sarà utilizzato il territorio macedone. Cosa dite ai rappresentanti della Nato?
Abbiamo raggiunto con la Nato
un accordo in base al quale l'Alleanza atlantica può utilizzare
il territorio della Macedonia unicamente nel caso in cui la Nato e la Jugoslavia
avranno prima firmato un'intesa sul dislocamento di una forze di pace nel
Kosovo. Non esiste alcun accordo circa un'azione di truppe terrestri dal
territorio macedone. La Nato si rende conto che con i 12.000 soldati di
cui attualmente dispone in Macedonia non potrà attuare l'invasione
del Kosovo, per farlo occorrono almeno 100 mila soldati, o di più.
Si tratta di un numero enorme di uomini e di un'operazione complessa per
la quale gli Stati Uniti
avranno bisogno del permesso
del loro Congresso. Per ora la Nato non intende procedere all'invasione
né dal territorio della Macedonia né dal territorio di altri
paesi vicini.
I serbi di Macedonia e numerosi macedoni hanno reagito con estrema determinazione contro gli attacchi della Nato, demolendo la sede dell'ambasciata Usa a Skopje. Per l'Occidente, Milosevic cerca di strumentalizzare le comunità minoritarie serbe in Macedonia e Croazia e i serbi di Bosnia per conquistare una parte del territorio macedone. Che ne pensa Gligorov?
Respingo la fondatezza di tali
affermazioni per quanto riguarda i cittadini macedoni di etnia serba, loro
hanno semplicemente solidarizzato con il popolo della loro nazione di origine.
Resta però il fatto che esiste uno stato d'animo generale contro
la Nato; non un'avversione verso i popoli dei paesi che ne fanno parte,
ma contro i bombardamenti e le distruzioni provocati dalla Nato, contro
la guerra. Inoltre i bombardamenti non riusciranno a costringere Milosevic
a cambiare opinione. E' un uomo che
difficilmente cede, e quando
vuole ottenere qualcosa è disposto a percorrere tutte le strade
per vedere che cosa può fare e che cosa non può. Purtroppo,
Milosevic non ha tratto alcun insegnamento dalla sorte toccata all'ex Jugoslavia,
dalla cui esistenza la Serbia traeva molti vantaggi. Per esempio, aveva
uno sbocco al mare ed ai porti adriatici, permettendole di esportare i
prodotti sui mercati mondiali. Ora possiede soltanto il porto di Bar, nel
Montenegro; ma se il Montenegro si separa dalla Federazione
jugoslava, la Serbia resterà
un paese senza mare. Allora capirà che cosa significa.
In Croazia, intanto, i massimi
vertici del partito al potere, l'Hdz - mediante conferenza stampa, comunicati
e il messaggio pasquale del "Supremo" -, esultano per il consolidamento
del regime derivato dalla crisi nel Kosovo. Tudjman ha presieduto una "seduta
allargata" dal Consiglio per la Difesa e la Sicurezza dello Stato, presente
anche il ministro degli Esteri, che ha riferito su un suo viaggio a Washington
ed a Bonn per discutere i problemi causati dalla guerra nel Kosovo. Nel
comunicato diffuso dal Consiglio si legge che l'attacco Nato contro la
Serbia "ha rafforzato la posizione internazionale della Croazia, rafforzando
a un tempo la collaborazione militare croata con gli Stati uniti". Era
l'occasione che Tudjman attendeva da tempo: Zagabria ora spera, e lo dice
lo stesso comunicato, che questa collaborazione aprirà alla Croazia
le porte dell'Organizzazione mondiale commerciale, da cui resta per ora
esclusa, ed alla stessa Nato. Che non solo non intervenne per fermare la
cacciata dei serbi dalle Krajine nel 1995, ma aiutò le truppe croate
nella pulizia etnica contro i serbi.